Visto da me: Lazio-Celtic G. 2-0
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di Er Matador
Sarri ha vinto alla Sarri: quando si è fatto da parte insieme ai suoi astrusi teoremi. Come del resto gli era già capitato con Chelsea e Juventus.
Sì, perché un risultato provvidenzialmente favorevole non cancella un'ora del solito nulla: passaggini, organizzazione offensiva inesistente, corner trasformati da Luis Alberto in tiri in porta e via discorrendo. E poteva andare peggio se gli scozzesi, oltretutto privi dei due elementi offensivi più pericolosi a Glasgow (Maeda e Palma), non avessero sprecato occasioni in ripartenza causa i troppo gravi limiti tecnici.
Il "rompete le righe" è scattato appena dopo, con l'uscita di un disorientato Castellanos (che non ha ancora capito cosa dovesse fare) e di Felipe Anderson (che ha vanificato di testa la fotocopia del gol di Pedro all'andata, su identico traversone di Guendouzi). Prima ancora del contributo dei subentrati, ha inciso il cambio di atteggiamento.
Anziché accorciare la catena col terzino o curare i movimenti senza palla, Isaksen si è lanciato a testa bassa verso la porta; assecondato dai compagni che, sia pure con esiti migliorabili, hanno sfatato un altro tabù del sarrismo tentando il tiro da fuori. Istanze offensive affidate alle sole giocate individuali, si dirà, e a ragione: ma questo accade anche applicando i geroglifici tattici vergati sulla Stele del Valdarno. Con la differenza che qui le energie sono state convogliate verso la ricerca della segnatura, non verso il possesso palla triangolato con la Costellazione di Orione.
A Ciro sono così arrivati dei palloni (sia pure sporchi), anziché consegne su movimenti inutilmente dispendiosi, e tanto gli è bastato per trasformarli in oro. Una sconfitta di Sarri, anche per come il campo ha dimostrato che un utilizzo alla Altafini – o comunque gestendo risorse atletiche non più illimitate, in funzione dell’ancora giovane verve realizzativa – possa allungargli la carriera. Fermo restando che bastava non spremerlo come un somaro, e senza mai consentirgli di rifiatare, per evitare un declino fisico così repentino.
La prestazione del danese, fra i migliori, si presta invece alla doppia narrazione. Da un lato si è acquistato al tabagista, le cui esigenze tattiche sono inequivocabili nella loro fissità, un giocatore antitetico alla sua idea di (non) gioco. Dall’altro il medesimo si è rifiutato, per ottusità e per ripicca, di adattarsi a un giocatore che comunque mostrava delle qualità.
Quanto a Mario Gila, l’impressione è che ricordi una caratteristica di Thiago Silva: il recuperare efficacemente dopo aver sbagliato qualcosa di troppo in prima battuta. Considerate le doti di velocista difficilmente eguagliabili dell’ex rossonero, sarà il caso di lavorare su un approccio con maggiore concentrazione e proattività: e qui Patric (nella foto la sua chiusura su Furuhashi, ndr) potrebbe rivelarsi un ottimo maestro. Di sicuro, lo spagnolo non sembra il giocatore improponibile che la sua interminabile esclusione sembrava lasciar intuire.
Dopo di che, di fronte a un risultato straordinario, è giusto sospendere analisi e critiche per festeggiarlo come merita. Una volta rientrati in un’ottica più lucida, però, non raccontiamoci che i dieci, preziosissimi punti corrispondono a quanto visto in campo. Altrimenti si contribuirebbe a non affrontare i problemi che sin qui hanno maledettamente complicato la stagione.
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