Visto da me: Feyenoord-Lazio 3-1

di Er Matador



Nelle discussioni del prepartita era emersa – da parte di Davide, se non ricordo male – una proposta: lasciare fuori Luis Alberto.

Un centrocampo con tutta la non illimitata fisicità dell’organico, per stancare gli avversari e quindi colpirli schierando i giocatori tecnici, quando c’è più spazio per la qualità.
Mancherà sempre la controprova, ma sembrava un approccio molto più lucido di quello adottato dal bradipo del Valdarno.

Oppure, sempre ragionando in termini di pragmatismo, bastava il vecchio adagio “squadra che vince non si cambia”.
Dunque riproporre, approfittando per consolidarlo, uno schieramento che così bene aveva funzionato a Reggio Emilia: oltretutto contro un avversario i cui pro e contro (organizzazione, fisicità, velocità, sofferenza in caso di pressing per limiti tecnici), fatte le debite proporzioni, ricordavano quelli degli olandesi.

Invece fuori Guendouzi e dentro Vecino, ancora decisivo a partita in corso ma che dal primo minuto non è più un giocatore in attività sul piano atletico.
Dentro Immobile, in condizioni psicofisiche impresentabili.
E poi il capolavoro del rientro di Casale, quando la conferma di Patric si faceva preferire per vari motivi:

1) lo stato di forma: eccellente per l’uno, catastrofico per l’altro
2) La funzionalità dello spagnolo, grazie alla sua velocità e reattività, per l’assetto schierato al Mapei Stadium
3) Le caratteristiche individuali degli attaccanti del Feyenoord, in testa il già noto Giménez (nella foto il suo gol per il provvisorio 3-0, ndr), più orientate allo spunto che alla fisicità statica: e le esibizioni di Casale sui primi due gol, compreso quello annullato, parlano da sole

Oltre alla settimana necessaria per preparare una partita, che taglia fuori Sarri da un calcio dove si gioca ogni tre giorni, pesa un dettaglio psicologico.
L’energumeno sulla panchina olandese non aveva lesinato alla vigilia dichiarazioni fuori luogo.
Come si sarebbe comportato il Mago Herrera, ma persino – cosa mi tocca scrivere – quell’altro paranoico sulla riva fognaria del Tevere?
Avrebbe appiccicato ovunque foto del tizio, anche al posto di quelle delle mogli, mandando in campo i giocatori caricati a pallettoni.
Ma questi sono dettagli per uomini di campo che considerano l’aspetto psicologico e motivazionale, non per pipparoli della tattica convinti di allenare dei robot.

Da premesse del genere è derivata in maniera inerziale una partita sui triti e tristi binari del sarrismo, piena di cose già dette troppe volte.

Con la Lazio inchiodata sulla propria linea di meta, l’avversario che passa inevitabilmente, le sostituzioni scolastiche e tardive, una flebile reazione solo nel finale e con la zavorra dei gialli a Guendouzi e Castellanos.
Con la chicca di non puntare i due terzini del Feyenoord, entrambi ammoniti, per insistere come se nulla fosse su uno spartito perdente.
E con l’umiliazione del torello dopo il 3-0, tanto per non farsi mancare niente.

Rimane la sensazione che quando ci indovina – e col Sassuolo aveva indovinato eccome – questo patetico e alienato solipsista lo faccia quasi per sbaglio, salvo ritornare immediatamente a concetti come “il suo calcio”.
Francamente, se ne ha abbastanza di assistere a una Lazio usata come cavia per simili deliri.
Tre mensilità e una pedata nel culo: come si fa con un domestico che, nonostante i ripetuti richiami, continua a spaccare i piatti.

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