Visto da me: Sassuolo-Lazio 0-2

di Er Matador



Commento breve: la migliore prestazione di squadra della stagione.

Commento lungo: non si sa se partire dalla metamorfosi tattica di Luis Alberto o da quella mentale.
L’autore del pressing feroce e chirurgico che innesca l’azione del primo gol è semplicemente un giocatore diverso – e non solo per la fascia da Capitano – rispetto a quello che trattava da par suo il pallone, ma dopo averlo aspettato sui piedi.

Il piglio da leader si è sommato alla sua costante presenza nel vivo del gioco, con una chiara libertà di movimento ma senza scadere nel solismo o nell’anarchia tattica.
Beninteso, tenendo presente che quel pallone recuperato si è sommato alla presenza di Castellanos – ancora una volta al posto giusto, a conferma di un certo senso naturale dei movimenti – e alla pregevole soluzione in controtempo di Felipe Anderson.

Decisivi nell’incardinare l’assetto di ieri sera Guendouzi e Patric.

Il franco-marocchino ha rinunciato a un ruolo da improbabile controfigura di Milinković-Savić, ritagliandosi uno spazio in ragione della propria peculiare fisicità: meno portata al pugno del KO nei contrasti, ma sostenuta da maggiore dinamismo nell’accompagnare le varie fasi di gioco e con la soluzione da fuori sempre in canna.

Lo spagnolo ha dato corpo in maniera determinante alla vera novità della serata: la difesa alta, utilizzata – al pari del pressing offensivo, micidiali per i goffi palleggi neroverdi – con criterio per raggiungere la quadratura.
Una difesa non solo più protetta dal duo Guendouzi-Rovella, che ha garantito estensione orizzontale al filtro, ma che si è protetta in proprio contribuendo al mantenimento delle distanze con la seconda linea: la proverbiale montagna che va a Maometto, insomma.

E proprio la prestazione di Patric sposta il dualismo con Casale in un’ottica più interessante rispetto alla semplice dicotomia titolare-riserva.
L’ex veronese – magari rinsavito rispetto alle ultime partite – quando si difende più basso, tenendo come riferimenti la densità e l’uomo; il buon Gabarrón quando si punta a una linea più alta e proattiva per attaccare lo spazio.

Cos’è mancato in una serata del genere, con una superiorità a tratti imbarazzante? La concretezza.
Due gol, ancorché abbastanza precoci, non rendono la misura dell’umiliazione tecnica cui sono andati incontro i padroni di casa.
E le stesse segnature non avrebbero preso forma senza una prodezza individuale – il cambio improvviso di direzione e di piede, con cui Pipe fulmina letteralmente Consigli, è per palati fini -  e due errori grossolani altrui nel controllo di palla.
Manca ancora quel pizzico di cattiveria finalizzata, assente anche nella gestione di un secondo tempo con risultato ancora aperto: “una grande squadra non si ferma mai”, ammonì Klose dopo un Pescara-Lazio quasi sul velluto.

Commento a parte per l’espulsione revocata a Provedel (nella foto, ndr) dopo la sua folle uscita: quasi una nemesi del disastro-lampo con cui Maximiano gli consegnò il ruolo di titolare, poi meritato sul campo.
Il millesimo replay al VAR ha chiarito che le mani del portiere rimanevano all’interno dell’area di rigore.

Ma anche in caso contrario, che senso avrebbe avuto la chiara occasione da gol su un pallone completamente fuori dalla portata dell’offendente e diretto verso la bandierina?
L’impressione è che si favoriscano sensazionalismi da baraccone, concedendo rigori e cartellini rossi immotivati, per offrire un malinteso spettacolo a pubblici di neofiti danarosi quanto incompetenti.
Un ulteriore e pericoloso abbrivio per la definitiva trasformazione del calcio in un Circo Barnum.

Votazione: Questo articolo non è stato ancora votato.