Visto da me: Napoli-Lazio 1-2

di Er Matador



Vittoria simile a quella dell’anno scorso? Sì e no.

Rimane la capacità di colpire di rimessa, che questa squadra dovrebbe alternare allo schema principale anche all’interno della stessa partita.
Diversa la distribuzione della performance durante i novanta minuti: se nella stagione precedente la Lazio aveva tatticamente dominato per l’intero incontro, sabato sera ci è riuscita solo nella ripresa dopo essere sopravvissuta a un avvio soffertissimo.

Nel quale è emersa una debolezza strutturale dell’attuale rosa, che l’iniziale cambio uno a uno fra Milinković-Savić e il pur bravo Kamada ha accentuato al massimo: lo scarso peso atletico.
Cui contribuisce anche un tecnico che si crede all’avanguardia ma, sull’importanza di questo specifico fattore, ha in mente il calcio di mezzo secolo fa.

Totalmente sopraffatta sul piano della fisicità e dei ritmo, la Lazio ha rinculato nei propri sedici metri riproponendo il duello Marušić-K'varatskhelia e la densità per disinnescare Osimhen.
Tattica che l’anno scorso era apparsa esito di una felicissima organizzazione, cucita sugli avversari di giornata: mentre qui è apparsa decisamente più raffazzonata ed emergenziale, lasciando l’impressione che i partenopei non abbiano concretizzato soprattutto per la scarsa vena dei singoli.

Il carattere strettamente episodico e individuale – sia pure a un livello qualitativo stellare – del vantaggio e la sua pessima gestione – con Provedel ingannato da una deviazione, ma perfettibile nella distribuzione del peso fra i due piedi – completano un quadro in continuità con le due pessime prestazioni di inizio campionato.

Il giro di boa fra i due tempi ruota attorno a un concetto: quello di distanze fra i reparti.
La Lazio l’ha ritrovato improvvisamente alzando il baricentro, col duplice risultato di sospingere l’avversario verso la propria metacampo e ritrovare le connessioni rapide per ripartenze micidiali.
Il Napoli l’ha perso sfilacciandosi sempre più marcatamente, con garsià – personaggio del quale non si sentiva la mancanza – che non ci ha capito più niente: fanno fede sostituzioni tardive, con cambi di modulo in corsa palesemente non preparati, che non hanno neppur scalfito l’andamento della gara.
Una partita a scacchi strapersa, che ha regalato la chicca statistica di due allenatori entrambi ammoniti.

Decisivo il migliore in campo per distacco, un Felipe Anderson devastante sia nella percussione uno contro uno sia nell’accelerazione in campo aperto con ribaltamento di fronte.

La firma sulla vittoria l’ha messa anche Luis Alberto, ritagliandosi un ruolo de facto da centravanti sia pure tattico: prima brillantissimo finalizzatore, poi abilissimo regolatore di flusso offensivo dosando al millisecondo l’assist per l’inserimento di Kamada.

Grande assente, invece, Immobile, che il quadro tattico della ripresa avrebbe in teoria dotato di testata atomica: scadimento di forma più o meno temporaneo? O un gioco che lo sacrifica nelle migliori caratteristiche?

Capitolo Guendouzi, il cui tellurico impatto sul match si adatta altrettanto – ma nel suo caso in positivo – a metafore nucleari.
L’assist per Zaccagni (nella foto, ndr) e l’inserimento con conclusione di impressionante potenza, entrambi sostenuti da un naturale tempismo, stimolano sia l’acquolina in bocca sia i dubbi sulla sua collocazione a metacampo.
Si pensava al titolare di Cataldi davanti alla difesa, ma fisicità e repertorio sembrano farne piuttosto il titolare di Milinković-Savić, con la cattedra ancora vacante nel cuore della mediana.

Chiusura doverosa e col vomito alla gola per il sedicente arbitro Colombo di Como, un sicario cialtrone che si fa pizzicare alla dogana con un AK-47 “nascosto” nelle mutande.
Nella sua Via Crucis coi direttori di gara, raramente la Lazio ha incontrato un personaggio così maldestro nello smascherare il proprio modus operandi: la ricerca del cavillo per annullare i gol e orientare la partita, a costo di defecare en plein air sul Regolamento.

Se il monocrate al vertice della società continuerà ad attenersi al motto “chi tace acconsente”, anche di fronte a una partita platealmente giocata undici contro dodici, si confermerà come parte del problema.

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