Visto da me: Napoli-Lazio 0-1
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di Er Matador
Alla vigilia, c’era chi auspicava una replica della Lazio vincente nel derby per mettere in difficoltà un avversario apparentemente incontrastabile: è accaduto davvero? Sì e no.
Della stracittadina si è rivista, se possibile in meglio, la prontezza di testa e di gambe, con una squadra mai così puntuale nell’arrivare per prima sul pallone e applicata al massimo per tutti i novanta minuti più recupero. Diverso, anche se disegnato come allora sull’avversario, il canovaccio tattico.
A Maurigno erano andati di traverso il baricentro basso e la rinuncia al pressing, che di fatto gli rubavano la parte, col triangolo Casale-Romagnoli-Cataldi a chiudere tutti gli spazi. Spalletti non ha invece digerito un avversario cortissimo e dinamico nel creare superiorità numerica, dove Patric e Vecino – sempre in terzetto con Romagnoli – hanno garantito maggiore esplosività e movimento sulla verticale. Coadiuvati alla perfezione dai due interni, improvvisamente a livelli altissimi, che hanno portato qualità ovunque muovendosi a fisarmonica e in maniera sempre ben coordinata. Fatale al sin qui dilagante attacco partenopeo la densità nella zona centrale difensiva, in cui Osimhen e compagni, alternando movimenti senza palla a soluzioni di sfondamento, non hanno mai fatto breccia.
Al di là delle scelte di formazione, ha funzionato un’organizzazione del reparto arretrato cucita alla perfezione sulle peculiari caratteristiche degli avversari. Kvaratskhelia ha trovato un’opposizione durissima in Marušić, ma senza che il serbo-montenegrino, seguendolo anche fuori dalla propria zona di competenza, aprisse una voragine sulla fascia. Quanto al bomber nigeriano, l’asfissia creata da spazi intasatissimi gli ha impedito di liberarsi dell’avversario e trovare la posizione ideale, come fa spesso, prima che arrivi il pallone: il dover partire da fermo, e contro una difesa schierata, lo ha depotenziato quasi completamente.
Impeccabile anche Hysaj, pungolato dallo status di ex di turno, contro il destro naturale Lozano e poi contro il mancino Politano, inserito sulla fascia opposta al suo piede preferito per destabilizzare le geometrie. Gli altri cambi dei padroni di casa hanno letteralmente smontato il centrocampo a favore di altrettanti elementi a trazione anteriore, con l’unico risultato di disunire il forcing finale e produrre ulteriore affollamento nella trequarti offensiva. Una mossa non ben ponderata; o forse una resa senza condizioni nella partita a scacchi, delegando in toto alla giocata individuale quella pericolosità neanche sfiorata giocando di squadra.
Alla fine hanno deciso un rinvio aereo sbagliato in tutto da parte del georgiano, momentaneamente in proiezione arretrata, e il cattivo posizionamento della difesa napoletana, eccessivamente allineata e schiacciata nella propria area: il che non le ha permesso di opporre spessore, e due uomini in asse sulla trequarti, alla prodezza balistica (nella foto, ndr) dell’uruguaiano. L’ennesima conferma dell’altissimo livello, soprattutto sul piano tattico, di una partita nella quale non si poteva sbagliare quasi nulla. Vincitore anche Provedel, con almeno una parata da punti, nel derby friulano col collega Meret.
Sempre rispetto al derby, altre due differenze. Una riguarda le minori sortite offensive, comunque chirurgiche: le statistiche parlano di due tiri nello specchio a testa, ma da rapportare a un possesso palla doppio per gli azzurri di casa. L’altra concerne, in meglio, la gestione dei minuti di recupero: nei quali la Lazio ha mantenuto il più possibile alti pressione e baricentro, tenendo il pallone fisicamente a distanza dalla possibilità che un avversario o l’arbitro – anche ieri sera dotato di un palco di corna da bovide estinto – inventassero qualcosa nei sedici metri biancocelesti.
Il pelo nell’uovo? Qualche passaggio all’indietro di troppo, potenzialmente fatale quando la squadra sta salendo.
E poi una situazione, sul piazzato con cui Milinković-Savić ha sverniciato l’esterno del sette, già presentatasi contro la Sampdoria: punizione sul centro-destra, Pedro che finta la soluzione mancina ma con poca convinzione, il serbo che cerca di rimontare contro un angolo sfavorevole. Viene alla mente l’esordio di Sacchi in Nazionale, con una catena di sinistra Maldini-Eranio a escludere mancini naturali nell’undici di partenza. Una palla da fermo in quella posizione portò a un complicatissimo schema e quindi al destro di Ancelotti, con esito assai inglorioso. Questo per dire come l’inserimento di almeno un giocatore con preferenza per il piede sinistro possa allargare il ventaglio delle soluzioni disponibili.
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