Visto da me: Sassuolo-Lazio 2-1

di Er Matador



Un primo tempo di illusorio e mediocre equilibrio, poi il disastro e la vergogna.

Confermando quanto accaduto giovedì col Galatasaray, Sarri passa da un estremo all’altro senza gradazioni intermedie, radendo al suolo il livello qualitativo del centrocampo.
Bašić offre la consueta prestazione di livello; Cataldi regge finché ha attorno un minimo di densità; Akpa-Akpro estirpa palloni in serie.
E già nella prova di quest’ultimo emergono elementi critici: uno come lui, in difficoltà nei passaggi di tre metri, dovrebbe prevedere un sistema di gioco in cui un compagno più tecnico gli offra la sponda per gestire i palloni recuperati.
Invece interpreta il ruolo del medianaccio d’antan in maniera del tutto anarchica, da libero di centrocampo, come non si vedeva dai tempi di un Italo Schiavi: col risultato che cento palloni recupera, centouno ne perde.
L’apparente equilibrio tattico porta in dote il provvisorio vantaggio, sul quale aleggiano però diverse ombre:

1) è frutto dell’unico tiro in porta nella prima frazione e ora abbondante di gioco
2) Nasce dall’ispirazione individuale di due singoli, Pedro e Zaccagni
3) Da inizio stagione, e chi scrive bada a questi dettagli, non è ancora stato segnato UN gol attribuibile agli “schemi di Sarri”

Nella ripresa, fiato, testa e attributi rimangono negli spogliatoi.
La squadra si decompone, sfrangiandosi in distanze sempre più incolmabili: e quindi in spazi nei quali al Sassuolo basta una partita normale per ribaltare il risultato.
Principale responsabile Acerbi, che abbassa come suo solito la difesa consentendo al forcing neroverde di attestarsi alle spalle della mediana.
Sul piano individuale partecipa allo scempio, già visto contro il Marsiglia e Ünder, di un mancino puro con una sola giocata che non si riesce a fermare quattro contro uno.
L’ex di turno, in particolare, perde il contrasto cadendo come un sacco di patate contro il fisico di Berardi, che non è quello di Lukaku.
Una giocata di una goffaggine sub-amatoriale, che fa il paio con l’assenza ingiustificata sul 2-1 dopo l’ennesima scorribanda offensiva non autorizzata.
Ormai non rimane che sperare in un infortunio, per porre rimedio alla sua sempre più ingiustificabile inamovibilità.

Difficile parlare del secondo tempo senza citare i cambi: e qui non si tratta tanto delle scelte in materia, quanto dell’atteggiamento dei subentrati.
E lì è difficile parlare di tattica: chi è schierato fuori ruolo gioca semplicemente peggio, mentre un piglio del genere si spiega solo con lacune umane e professionali.
Basta dire che i subentrati più incisivi si sono dimostrati l’improvvisatissimo André Anderson e, udite udite, Muriqi: il quale, col rosso sapientemente procurato a carico di Ayhan, lascia persino traccia nel tabellino.
L’idea di sollecitarlo con lancioni, come accadeva al suo acquirente nei panni di centroboa, avrebbe un senso.
Peccato che il muflone sbagli la misura di tutte le spizzate: il che, sommato ai 194 centimetri e alle sue qualità coi piedi, lo rende utile giusto per cambiare le lampadine senza prendere la scala.
Ma anche qui non sarebbe giusto scaricare su di lui tutte le colpe.
Perché le sue giocate aeree, fossero pure il massimo della precisione, troverebbero comunque ad accoglierle la più totale disorganizzazione.
Una soluzione offensiva potenzialmente utile affidata al caso, palesemente neppure provata in allenamento: un po’ come la coesistenza Immobile-Caicedo nelle scorse stagioni.
Lo stesso schifo anti-professionale ammirato con lo spiacentino: e l’elemento di continuità sono i giocatori.

Ed eccoci al portiere, che avrebbe tenuto in partita i suoi nella prima frazione.
Si può capire la percezione di chi, abituato da troppe partite a una statua, riscopre un omino fra i pali che addirittura si muove: ma quelle rimangono parate dovute, non certo da punti.
I gol, piuttosto.
Sul primo è coperto, ma da qualunque posizione si capisce che Berardi può cercare solo il palo lungo.
Lui si piazza decentrato nell’altra direzione, lasciando due terzi di porta dalla parte favorevole all’offendente.
Sul secondo (nella foto, ndr) non sbaglia il piazzamento ma l’intervento: opponendo una mozzarella scaduta, anziché una mano e un po’ di polso, spingendo in rete un tiro centrale a due all’ora.
L’attuale Strakosha merita un paragone impietoso: Gianluca Curci.
Vale a dire un saltimbanco che si muove fra i pali e para qualcosa quando gli tirano addosso, per il resto digiuno del repertorio tecnico di ruolo.
Con la differenza che il romettaro era uno negato, spinto fino alla serie A da chissà quali fattori, mentre il greco-albanese è piuttosto un buon portiere rovinato da autentici macellai.
Ma ciò non toglie che quanto combina in campo abbia indotto due omini in panchina, peraltro diversissimi fra di loro, a preferirgli un ex atleta.

Quanto all’allenatore, o a ciò che ne rimane, si impone una premessa.
Squadra che rimane negli spogliatoi fra un tempo e l’altro, gente che in campo fa come gli pare, mollezze atletiche e comportamentali inammissibili in una partitella fra amici.
Qualunque idea si coltivi in merito a Sarri in generale e al suo lavoro quest’anno, argomenti trattabili separatamente: fino a che punto gli si possono addebitare comportamenti come quelli di cui sopra?
A parte la colpa di mandare in campo i responsabili, s’intende.
Ciò non toglie che il tecnico stasera sia apparso persino patetico.
Per l’ottusità con cui affonda, e fa affondare, insieme alle sue idee?
No, proprio il contrario: per la stanchezza e la rassegnazione nel venire a patti con un gruppo di mezzi uomini.
Sarri è stato chiamato per innescare un cambio di paradigma nel modo di intendere il calcio dalle parti di Formello.
E per farlo occorre un atteggiamento da Full Metal Jacket, imponendo le proprie idee e asfaltando chi non si adegua  dentro e fuori dal campo.
Il calciatore X ha messo a segno cento gol e duecento assist con la precedente gestione?
Lo ha fatto in un contesto da parrocchia, non da football professionistico: quindi, o coglie l’occasione per diventare un giocatore vero o grazie e arrivederci.
Considerando il fatto di stanare gli inadeguati non come un effetto collaterale, ma come un obiettivo.
Qualche mese con simili metodi e un Felipe Anderson, ancorché umidiccio di mestrui e lacrime, non si permetterebbe di scendere in campo come ha fatto ieri sera.
Sarri deve ritrovare sé stesso, a partire da spigoli e turpiloquio: per avviare un percorso di crescita e selezione, che trascini la Lazio fuori dalla palude degli svernatori e dalla debole gestione di casi umani.
Da San Patrignano a San Siro, insomma.
Ma, a questo punto, deve essere innanzitutto lui il cambiamento che vuole vedere nella Lazio (semicit.).
Perché così, con quella maschera da vecchio cane bastonato, sembra solo un mendicante un po’ più caro.

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