Visto da me: Lazio-Inter 3-1

di Er Matador


Ne parlo a mente un po’ più fredda, dopo un’orgia di tifo cui non ero più abituato: davvero, non ricordavo di odiarli in maniera così morbosa e virulenta.
Alcuni commenti si sono raccolti attorno al concetto, in teoria un tantino blasfemo rispetto alla teologia biancoceleste, “godo più che al derby”.
Ebbene, avendoci a che fare per ragioni geografiche e definendoli da anni “i romanisti del Nord”, posso solo empatizzare con tale sensazione.
A partire da una tifoseria – gemellata con stocazzo, per quanto mi riguarda – in grado di rivalutare persino i fognari.
I quali, nella loro bovina megalomania, regalano almeno la materia prima per il topic di (sempre sia lodato) Il frigorifero.
Mentre gli interessati, con la loro cupa e fanatica negatività da psico-setta, ricordano piuttosto la più immonda tifoseria del pianeta – ovviamente quella merdaviolacea – ma deprivata anche di quel po’ di salace toscanità.
Un romettaro che inveisce contro la propria squadra regala momenti di irresistibile comicità involontaria; un interista impegnato nello stesso fondamentale – persino mentre la partita è in corso, persino quando la stanno vincendo – mette solo tristezza.

La squadra si è confermata perfetta espressione di quanto sopra: una masnada di antisportivi, di bulli di quartiere isterici e disadattati al rispetto del più elementare Regolamento, come dimostra la reazione delinquenziale (Dumfries) o da camicia di forza (Lautaro) dopo il 2-1.
In merito al quale Sarri, circoscrivendo l’abitudine di fermarsi come italico malcostume non praticato all’estero, meriterebbe una mensilità supplementare come addetto alla comunicazione.
In termini tecnici, la qualità di cui menano vanto si limita alle individualità difensive, cui il cialtrone spiacentino sta togliendo riferimenti e capacità di giostrare come reparto.
Il resto è poca cosa, confermando la dipendenza a senso unico dal belga-qualcosaltro: Geco rimarrà anche a novant’anni un giocatore vero in grado di fare reparto da solo, ma non è il tipo di centravanti cui basta tirare il pallone addosso.
Senza il suo predecessore, e senza le accelerazioni di Hakimi, viene smascherato il bluff tecnico dell’anno scorso, perfettamente in linea col bluff contabile col quale hanno rubato uno scudetto schierando giocatori che non potevano pagare.

Per esaurire la coprolalia di giornata, un pensiero a Irrati.
Il punto più basso sul piano tecnico lo ha toccato con la gestione dei cartellini dopo la rissa da banda di latinos inscenata ai danni di Felipe Anderson.
Il punto più basso sul piano morale l’ha toccato con l’espulsione di Luiz Felipe a partita chiusa, ispirata dall’idea di causare più danni possibili anche dopo aver perso la guerra.
Una logica da rappresaglia, con pochi precedenti anche nel corposo rapporto fra Lazio e arbitri.

Passando finalmente a parlare di calcio, inutile negare che la prima frazione di gioco si sia chiusa con un pessimo sapore in bocca.
A parte il rigore, assegnato per un calcio di Barella al piede del pur approssimativo Hysaj, è rimasta la sensazione di una squadra lunghissima; incapace di fare densità in qualsiasi zona del campo; intestardita in una caricatura del peggior Guardiola, cercando l’uno-due centrale contro energumeni cui bastava fare mucchio nella propria area; in grado di rendersi pericolosa solo tramite iniziative individuali, come la pur promettente intesa Pedro-Bašić.
In più Marušić abbandonato uno contro uno in campo aperto nella corsia di competenza, su cui gli avversari insistevano in maniera monotematica.
Per nostra fortuna il serbo-montenegrino non ha perso la testa con uscite che, se fosse stato saltato, avrebbero squarciato definitivamente il fianco della nave.
Con la freddezza nel rimanere all’interno del terreno, aspettando l’avversario e cercando di contenerlo, gli ha concesso solo qualche cross, che in una situazione del genere rappresenta il minimo sindacale: bravo davvero nell’aver limitato i danni in un contesto tanto sfavorevole.
Contromisure a un cliché persino noioso, a proposito? Quelle dello spiacentino l’anno scorso, vale a dire nessuna, il che stava dando forma ai peggiori incubi.
Quali fattori hanno prodotto il cambiamento così netto nella ripresa?
Gli ingressi di Luis Alberto e Lazzari, che hanno dato la sensazione di rendere al meglio proprio così, subentrando dopo un’ora di lavoro ai fianchi da parte di elementi con maggiore atletismo?
Indicherei piuttosto tre componenti:

1) la squadra molto più corta
2) La propensione a giocare di rimessa, atteggiamento nel quale l’undici di Sarri esprime – senza falsa modestia – il più alto livello qualitativo del torneo
3) I cambi di fronte, a spostare e allargare la difesa avversaria

Sul punto 3) si deve lavorare anche in fase di possesso palla, sfruttando al meglio piedi e ispirazione degli esterni per estendere il campo sul fronte offensivo.
Il punto 2) è una risorsa da valorizzare, ma che non sarà sempre utilizzabile.
Il punto 1) dipende da lacune individuali e di organizzazione della difesa: troppo propensa a rinculare, sfilacciando l’assetto d’insieme, quando non si rimane bassi per ripartire in velocità.
Serve più che mai un dominante in grado di guidare l’elastico, con uso moderato del fuorigioco, accompagnare gli altri reparti e mantenere le distanze anche col baricentro alto.
Lucas Leiva ha pessimi precedenti in terza linea come centrale di una difesa a tre, ma con la maglia del Liverpool si è alternato fra centrocampo e difesa a quattro.
Potrebbe diventare una formidabile ottimizzazione: in grado da un lato di chiudere una voragine dietro, dall’altro di valorizzare una risorsa di personalità e intelligenza tattica non più spendibile, per motivi anagrafici, in mediana.

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