Visto da me: Lazio-Lokomotiv Mosca 2-0

di Er Matador


Al novantesimo più recupero, di una partita che poteva finire in goleada, rimane in bocca il sapore di una fra le più belle Lazio di Coppa mai ammirate.
Fu vera gloria? Al di là del valore dell’avversario, che comunque non si batte da solo, proviamo a elencare cosa ha funzionato e cosa meno.
Nella prima categoria:


1) la crescita del gruppo nel corso del match.
Nel primo tempo la Lazio ha segnato, ma è arrivata al tiro quasi sempre passando per una percussione o una prodezza individuale, non ultimo l’eccellente assist di Pedro per l’esordio di Bašić nel tabellino dei marcatori.
Inoltre ha concesso qualcosa di troppo in difesa, ma su questo ritorneremo.
Nella ripresa la manovra è apparsa molto più fluida e naturale; ha creato situazioni offensive in serie attraverso giocate “normali”, sostenute da un approccio maggiormente collettivo; ha proposto un salutare turnover al poligono di tiro.
Ma soprattutto ha spento le velleità di rimonta del Lokomotiv, dissuadendolo anche dal provarci.
Considerando gli atavici limiti di personalità, una simile notazione psicologica lascia davvero intuire l’alba di una nuova era

2) Un paragrafo tutto per lui lo merita – e non solo grazie al gol – Toma Bašić.
In progresso sul piano della condizione atletica, penalizzata dal tipo di fisico e dal tardivo inserimento nel gruppo, si è mosso con maggiore scioltezza e continuità.
Soprattutto, ha evidenziato una dote fondamentale nel compensare i suoi limiti dinamici: la capacità di ottimizzare la corsa facendosi trovare quasi sempre al posto giusto.
Vale per gli inserimenti offensivi, compreso uno su una sponda di Muriqi (!) vanificato aprendo troppo il piede nella conclusione, ma propiziato da un tempismo ottimale nei movimenti.
Vale per il contributo in fase difensiva, ad esempio quando ha messo tutto il proprio peso per tamponare le ripartenze avversarie su corner non sfruttati.
Sembra un centrocampista moderno, di quelli predisposti a creare superiorità nelle varie fasi di gioco.
Da migliorare i sincronismi con Pedro sulla sinistra, puntuali quanto non perfettamente oliati: date le caratteristiche complementari, i due formano una catena assai promettente sul fronte offensivo

3) La ritrovata vena di Felipe Anderson che, assistito da un frizzante Lazzari, ha squartato la fascia sinistra dello schieramento difensivo russo.
Oltre a scatti e giocate a ripetizione, da segnalare un tocco di punta da futsal che, in una situazione di equilibro precario, ha costretto il portiere alla prodezza.
Tentare giocate così poco convenzionali è indice di doti tecniche notevoli, e questo lo si sapeva, ma anche di un giocatore che si sente bene e ha fiducia nei propri mezzi.
Coi suoi chiari di luna del passato, forse il dato più importante

4) L’eccellente prova di Patric, pericoloso in più circostanze anche nell’altra area.
Sul gol ha ricordato Ramón Díaz, abile nel farsi trovare in posizione tale da segnare anche con un rimpallo o un tocco sporco

5) L’alternanza fra Luis Alberto e Milinković-Savić, che comincia a prendere forma sul piano logico.
I due si sono avvicendati come risorsa di qualità costantemente in appoggio, con caratteristiche diverse ma senza interrompere la trama del match.
Segno di come lo spagnolo – oggi attivo in prevalenza sul centro-destra – si stia riconvertendo da padrone assoluto della manovra a giocatore importante, ma inserito in un discorso di squadra


Da migliorare, e quasi tutte le osservazioni si riferiscono al primo tempo:


a) Hysaj autore di una buona prova, ma con qualche incertezza iniziale in sede di costruzione.
I compagni lo cercavano per allargare il campo, lui titubava spesso in retropassaggi verso l’interno del terreno e mentre la squadra saliva.
Leggerezza potenzialmente pericolosissima, che incontra anche una reattività non ottimale di fronte a un errore di un compagno nella propria metacampo.
Si prenda ad esempio la distrazione di Lazzari su Anjorin a inizio ripresa, con palla che sibila sotto il naso di Strakosha

b) L’eccessiva vulnerabilità sulle percussioni e sulle conclusioni dal perimetro.
Sono bastate la fisicità di Anjorin e il piazzamento di Žemaletdinov sulla trequarti per produrre troppo facilmente situazioni a rischio

c) Sempre a proposito dell’organizzazione difensiva, ancora qualcosa da rivedere sotto questo profilo.
Al 29’ Smolov viene imbeccato in un corridoio libero verso Strakosha: si frappone come ultimo ostacolo Patric con un’apprezzabile chiusura, ma mentre si trovava davanti ad Acerbi e quindi completamente fuori posizione.
Da notare che la Lazio difendeva con sei-sette uomini, a conferma di come rientri, copertura del campo e corsa stiano migliorando: il problema riguarda la disposizione degli effettivi.
Un paio di minuti dopo, su un corner, la squadra cerca di salire per far scattare il fuorigioco, Felipe Anderson rimane indietro e ancora Smolov si trova libero – con Strakosha inchiodato sulla linea – nei pressi della porta e di un pallone vagante.
La salva con un provvidenziale intervento Hysaj, ancora una volta uno che non doveva trovarsi lì

d) Il giallo speso male – nel senso che non ha neppure contenuto l’avversario – da Cataldi, per il resto autore di una prova convincente e sempre più coinvolto nel progetto.
Più dei suoi limiti nei contrasti, emerge l’atteggiamento dei compagni: che mandano allo sbaraglio il Superman davanti alla difesa – nelle passate stagioni Dioleiva – senza sostenere una fase difensiva di squadra, in omaggio a pessime e recenti abitudini.
Oltre che contro l’avversario di turno, Sarri dovrà combattere contro l’ombra dello spiacentino e le scorie della sua cialtronesca idea di calcio

e) Muriqi, ed eccoci a sparare sulla Croce Rossa costata, però, come una Lamborghini.
Nei movimenti, nei contrasti, nei tiri da fuori viene da domandarsi se si tratti di un normotipo, tale appare il disagio e l’assenza di coordinazione.
Sembra di rivedere il suo acquirente nelle ultime, imbarazzanti esibizioni con la maglia numero 17, che accentuava l’effetto Fantozzi.
Unico raggio di luce la sponda per la già citata conclusione di Bašić.
Bisognerebbe tingerlo di biondo e mandarlo in Nazionale gabellandolo per Immobile: così Mancini avrebbe il suo centravanti da soma, senza avvilire in quel ruolo una Scarpa d’Oro.
Di sicuro, chi ha costruito l’organico con lui come unica alternativa in attacco, lasciando in assenza di Ciro la scelta tra un falso nueve e un falso giocatore, andrebbe deferito a un tribunale internazionale

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