Visto da me: Torino-Lazio 1-1

di Er Matador



Osservazioni sparse su novanta minuti agghiacciandi, come direbbe il tecnico che ha condiviso con Sarri la panchina del Chelsea (e prima quella dell’Arezzo, addirittura alternandosi nella stessa stagione):

1) di solito il pesce puzza dalla testa. Qui invece dalla coda di una difesa che tatticamente rema contro: a partire dalla coppia centrale, la quale dovrebbe aggredire, tenere alta la linea, accorciare le distanze dal centrocampo.
E invece sa solo rinculare pavidamente, aprendo voragini con la mediana o, come nella partita di oggi, risucchiando l’undici in un catenaccio tanto fragile quanto inoffensivo di rimessa.
Delle due l’una: o Acerbi e Luiz Felipe soffrono di atassia tattica, che mascheravano imboscati in una poco organizzata difesa a cinque, o c’è dell’altro.
Si pensava di giocare in nove, senza portiere e titolare di Leiva: invece si gioca in otto, dato che manca anche un dominante difensivo

2) Conseguenza di quanto elencato al punto precedente, un assetto a trazione posteriore completamente sconclusionato.
Costretto a proteggere due fuggitivi schiacciati su Reina, Cataldi si è speso generosamente in copertura salvando anche una situazione non banale sul tiro di Brekalo, ma con due pesanti effetti collaterali.
Primo: l’annullamento del suo ruolo in fase di costruzione, fondamentale per cucire una coperta cortissima all’indietro e, incidentalmente, legato a ciò che sa fare meglio.
Secondo: una precoce accensione della spia della riserva, non essendo dotato della base atletica per reggere tutta la partita un simile urto.
Il resto lo hanno fatto la flebile presenza di Akpa-Akpro, che ha aperto una voragine nella zona del fratello maggiore del portiere granata, e la persistente inconsistenza di Luis Alberto, ormai un caso a pieno titolo.
Immobile ha giocato come in Nazionale, smistando pochissimi palloni, in maniera imprecisa e per il nulla, dato che gli emuli di Berardi e Insigne rimanevano schiacciati in una posizione da terzini aggiunti.
Fino a risultare così disorientato da nascondersi dietro l’avversario in una delle rare occasioni utili, sullo spunto individuale di Pedro (che non ha aggiunto altro, spegnendosi dopo un avvio all’apparenza brioso).
Simbolo di un’impotenza offensiva pressoché totale il fatto che per tirare in porta sia servito un evento meteorologico estremo.
A scelta, il fatto che Muriqi si sia reso utile procurando un rigore o l’intervento sconsiderato di Djidji, quasi ai livelli del caro Marco Lanna

3) Impietoso il confronto con la cairese sul piano atletico: scoppieranno tutti gli altri a febbraio? O è la Lazio a essere già scoppiata prima di cominciare?

4) Impietoso il confronto con la cairese su un piano ancor più inquietante, vale a dire la rapidità nell’assimilare i concetti di base del nuovo allenatore.
Nella scorsa stagione, i granata erano passati da una guida tecnica disastrosa (Giampaolo) a una che si era limitata a raccogliere i cocci (Nicola), raccattando un’immeritata salvezza col decisivo contributo degli arbitri.
Qualche settimana di lavoro e già si vede la squadra di Jurić nella condizione fisica, nell’aggressività, nell’organizzazione con cui si distribuisce fra le varie zone del campo, anche tramite continui scambi di ruolo.
Si legge in filigrana il secondo Verona, quello ricostruito sulle cessioni eccellenti e su una qualità individuale molto modesta, rovesciando come un pedalino gli equilibri della stagione precedente.
Mentre quel signore, confinato dall’infame Chiffi dietro una vetrata simil-vecchio Highbury, sembrava piuttosto un giornalista, o comunque uno che nulla c’entrava coi giocatori in campo.
Estraneo e predicante nel deserto fra i rottami della gestione spiacentina, il tecnico di Figline Valdarno sta evocando un paragone piuttosto lugubre: Luigi Enrico alla xxxx.
Affinché l’era Sarri cominci davvero, serve una molto più radicale soluzione di continuità, a cominciare dalla testa: e compresa, probabilmente, qualche salutare epurazione

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