Visto da me: Lazio-Spezia 6-1

di Er Matador



Partita dalle tante sensazioni, più numerose persino dei gol visti in campo.

Intanto la Lazio che parte da 1-1, ed è un vezzo che non si potrà permettere contro qualsiasi avversario.
Sul gol di Verde – puntualmente a segno contro i biancocelesti e puntualmente ininfluente, in linea col DNA della squadra in cui è cresciuto – emergono l’eccessiva penetrabilità sulle percussioni dalle fasce e la respinta perfettibile di Reina.
Il resto lo fa una disposizione difensiva che non ha ancora assimilato il passaggio a quattro e scala in blocco di una posizione verso destra, con Hysaj secondo centrale e nessuno a presidiare la zona di sua competenza.
L’avversario libero da marcature per il tap-in è il prodotto di meccanismi d’insieme non ancora a punto, assai più che di una mancanza individuale dell’albanese: peraltro fra i migliori e meritatamente premiato dalla soddisfazione personale (nella foto, ndr).

Un problema condiviso con l’avversario di giornata, anch’esso alle prese con una transizione di modulo nella direzione opposta.
Prova ne sia che, tornando alla linea a quattro dopo l’espulsione di Amian, gli spezzini hanno recuperato almeno un minimo di densità al centro.
Mentre, quando giocavano ancora in undici, i puntuali cambi di fronte nello sviluppo dell’azione hanno attraversato come lame il loro schieramento.
Interessante, a questo proposito, l’applicazione di uno schema di riferimento ma declinato in tutte le sue varianti e con un tasso altissimo di qualità.
In questo, la Lazio scesa in campo contro i liguri ha vagamente ricordato la migliore Udinese di Guidolin.

Due parole anche sul lato A di questa situazione, vale a dire la prontezza della reazione.
Che con l’Empoli era passata per la prodezza di Felipe Anderson, nell’estrarre un cross da una coordinazione quasi impossibile.
Mentre qui si è compiuto un salto di qualità pareggiando di squadra, con una sequenza perfetta sul filo dei centimetri e dei millisecondi: se si parla di pressing alto e contropiede breve, roba da mostrare in loop nelle scuole calcio.

E che, passando a un’altra sensazione, conferma il differente approccio tecnico e mentale a una manovra offensiva fitta di scambi tutti tecnica e velocità.
Un modo di stare in campo che espone al rischio-futsal, vale a dire alla leziosità e alla tentazione di entrare in porta col pallone.
Vizio emerso sistematicamente nelle scorse stagioni: mentre la Lazio delle prime due partite dimostra di considerare la giocata non come un mezzo ma come un fine, e il numero di tiri nello specchio è lì a dimostrarlo.

Poi ruoli e caratteristiche dei singoli nello schieramento iniziale: un solo centrocampista di rottura, un numero 10 classico, una mezzala offensiva, tre fra centravanti, ali e seconde punte.
Unica variante, un terzino destro che fluidifica come il collega sull’altra corsia, anziché dedicarsi alla marcatura: per il resto, lo schieramento-tipo di quando si giocava con libero, marcature a uomo e maglie dall’1 all’11.

A proposito di terzino destro, notevole lo spezzone di Marušić per il maggiore equilibrio che è riuscito a garantire.
Molto meglio rispetto alle sue poche apparizioni nel modulo, ridotte a zero dopo l’imposizione a senso unico della difesa a tre, a conferma di una risorsa importante in organico.

Piacevole, anche per l’idea di futuro, vedere in campo le acerbe doti tecniche di Raul Moro e Luka Romero.
Segno di come Sarri, da buon costruttore di giocatori e squadre, intenda coinvolgere i giovani nel progetto, asciugando altre lacrime che abbiamo pianto inutilmente per anni.

E infine la sensazione più importante: un tifoso felice.
Sarri ha ancora molto da insegnare a questi ragazzi.
Ma ha già trasmesso a loro, e restituito a chi li segue, il concetto principale: la gioia e il piacere di giocare a calcio.

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