Visto da me: Lazio-Bruges 2-2

di Er Matador


Stavolta ho potuto seguire solo il secondo tempo, quindi la parte peggiore della prestazione.

Ripresa che la Lazio in realtà aveva iniziato bene, applicando l’adagio del Barone Liedholm per cui se la palla ce l’hai tu non ce l’hanno gli altri.
Quello dei biancocelesti non era uno stucchevole tiki-taka, quanto un assedio intelligente col quale si otteneva il risultato di gestire il ritmo della gara, stancare gli avversari facendoli correre a vuoto, tentare qualche affondo per chiudere la partita quando se ne presentava l’opportunità.

Lì è subentrato il vero problema di questa squadra: la testa, sottoforma di limiti di personalità che si traducono nel proverbiale soldo perennemente mancante per fare la lira.
Poco convinti, dall’atteggiamento persino dimostrativo, gli spunti offensivi; improvviso e rovinoso il crollo, come sempre, quando il gruppo ha smesso di giocare al massimo.
I cambi, concentrati in un’unica sessione, hanno tolto troppi punti di riferimento disorientando ulteriormente gli undici in campo anziché rinfrescarne le fila.
Il Bruges, ancorché di molto inferiore sul piano tecnico, si è confermato molto più squadra quanto a tenuta fisica, organizzazione, capacità di ottenere il meglio dai propri mezzi: fino a quella traversa, che popolerà a lungo gli incubi di parecchi tifosi nonostante il lieto fine.

Passando ai singoli, si è capita l’utilità di Hoedt al di là dei suoi meriti personali: tenere separati Luiz Felipe e Acerbi, che quando si trovano vicini nello schieramento difensivo diventano i due bordi di una voragine.
Dopo la scellerata esibizione contro lo Spezia, hanno offerto il bis con un secondo gol da raccontare ai nipotini, ma a quelli dell’attaccante belga.
Colpa, al di là della deconcentrazione e delle loro prestazioni singole, di un reparto che assume troppo spesso la fisionomia di un esercito in rotta per totale mancanza di organizzazione.

Capitolo Reina: sul primo gol ha l’attenuante di condividere la respinta corta con Mignolet, estremo difensore dal repertorio tecnico assai solido e inventatosi nella ripresa portiere-libero.
L’intervento appare comunque gravemente deficitario per vari motivi, a partire dalla differente difficoltà della conclusione.
Quanto al terreno viscido, lo spagnolo aveva già dimostrato grande padronanza nel gestirlo usando il petto, come ausilio per la presa, al fine di trattenere il pallone nei paraggi.
L'atteggiamento passivo con cui si è lasciato rimbalzare addosso la sfera sottintende un momentaneo calo di concentrazione e reattività, e il fatto che si sia verificato appena dopo il vantaggio lascia una sensazione particolarmente dubbia.
Peggio ancora la sua mancata uscita sul per fortuna definitivo 2-2, in pieno stile Strakosha: che il lavoro dei preparatori cominci a sortire i suoi effetti?

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