Visto da me: Lazio-Juventus 0-2 (finale di Coppa Italia)

di Er Matador



Il giro di boa all’inizio, col palo di Keita sull’azione che avrebbe potuto indirizzare la partita in una direzione favorevole ai biancocelesti.
Poi due gol uno più assurdo dell’altro per gli errori difensivi che hanno spalancato la porta al doppio vantaggio bianconero.
Strakosha che evita il peggio, quindi la reazione: Inzaghi azzecca i cambi dopo un avvio tatticamente confuso, ma Neto e qualche errore di approssimazione impediscono di riaprire la gara.
Che forse, col senno di poi, non era tecnicamente fuori portata: se si pensa ad esempio che il mitico BBC difensivo qualcosa ha concesso, e in più di una circostanza.

Quindi? Proviamo a organizzare una partita dalle sensazioni contrastanti in tre categorie: cosa è andato, cosa non poteva andare, cosa doveva andare.

Al primo gruppo appartiene senza dubbio la reazione da fine primo tempo in poi.
La ripresa aveva tutti i connotati di una frazione disputata pro forma: la Lazio è riuscita a nobilitarla in partita vera, esprimendo a tratti un autentico forcing e lasciando lo champagne in ghiaccio quasi fino al termine.
Da segnalare anche Felipe Anderson e il suo immediato impatto sulla gara: è troppo parlare della sua migliore gara da subentrante, a maggior ragione per uno che quando comincia in panchina vi rimane mentalmente fino alla fine?

Al secondo gruppo appartengono le cause della sconfitta: mancanza di testa all’inizio, con una squadra contratta e bloccata dalla tensione; mancanza di qualità e cinismo in seguito, nel concretizzare le situazioni che avrebbero rimesso quasi tutto in gioco.
Lì, al di là della formidabile forza mentale dell’avversario, è una questione di maturità se non proprio di maturazione.
La Lazio è cresciuta parecchio durante quest’annata: è arrivata a essere una squadra da finale ma non una squadra da Coppa, e non si poteva pretendere che la diventasse in un colpo solo.
In quel caso il rimedio è uno solo: trovarsi il più spesso possibile a giocare partite del genere e accumulare esperienza – già tangibile nei miglioramenti a partita in corso – confidando nel fatto che nulla insegna a giocare a calcio quanto il giocare a calcio.

Al terzo gruppo appartiene la gestione della partita da parte di Inzaghi, il cui autentico primo tempo si è consumato a Firenze.
Cosa abbia spinto il tecnico a schierare dei titolari, in un gruppo non ancora così grande da dover temere quei cali di tensione, rimane un mistero.
Si è giocato Lukaku: e il fatto che il peggio sia venuto dalla (mancata) doppia fase sulle fasce, con Lulić fra i peggiori nei panni del belga, forse non ha cambiato l’esito del match, ma qualcosa dice comunque.
Si è giocato Parolo, completando l’opera con la scelta di mandarlo comunque in campo sprecando un uomo e un cambio.
Discorsi del tipo “il giocatore teneva assolutamente a esserci” lasciamoli, per favore, a qualche sgangherato torneo estivo fra amici.
Il già citato palo di Keita, poi, rivela nella sua dinamica qualcosa di diverso dalla sfortuna.
Riesaminiamo l’azione: Milinković-Savić – poi inghiottito dall’inesperienza – lancia nel corridoio il senegalese, che cerca una soluzione meno facile e per poco non la trasforma in oro.
Ma il vero convitato di pietra è nel mezzo, dove si trova il vuoto assoluto al posto dell’uomo che segue l’azione: e che Keita avrebbe potuto servire, come Lulić ha servito lui nel derby di ritorno in campionato, materializzando una soluzione a colpo sicuro.
Colpa di Immobile, di chi per esso, di Inzaghi?
Sta di fatto che di situazioni del genere la BBC ne concede, se le concede, una a partita.
E, se si pensa di competere a certi livelli, quello dev’essere gol.
A proposito di gol: da quale amichevole estiva la Juventus non trovava simili spazi?
Male gli esterni di centrocampo per i mancati rientri.
Malissimo i due esterni del terzetto difensivo, che si dividono le responsabilità per le due segnature.
Peggio di tutti de Vrij, un fantasma in entrambe le circostanze e ancora una volta in una partita da dentro o fuori: scommettiamo che sarà lui a chiedere il rinnovo per garantirsi lo stipendio perché, presso chi lo voleva, è ormai smascherato peggio di Giucas Casella?

La serata nell’insieme ha accumulato due meriti.

Uno è quello di aver chiarito la geografia tecnica del campionato.
Una squadra a parte, la Juventus; una seconda, il Napoli Soccer, che un abisso separa sia dalla capolista sia dalle inseguitrici; quindi le altre.
Compresa la xxxx, rasa al suolo in tre derby su quattro da quella Lazio che contro le prime due ha pagato un divario inesorabile.
Confermando alla prova del campo come gli abusivi rivali cittadini siano una squadretta da EL, issata al di sopra della decenza dagli arbitri e da infami inciuci come quello andato in onda tre giorni fa nello stesso stadio.
Inciucio passato in cavalleria in una gara da una sola ammonizione: Chinaglia è morto, e non solo in senso biologico.

L’altro merito della serata è l’aver disegnato le immediate prospettive della Lazio: una squadra che cresce, che è cresciuta nel corso dei novanta minuti, che può crescere ancora.
Ora la palla passa alla società: sul mercato; nel fare chiarezza in merito alla conduzione tecnica e alla sua capacità di gestire il doppio impegno; nell’intercettare un entusiasmo che il trittico mitologico nella stracittadina ha riportato alle stelle.
In caso contrario, quella di ieri sera sarà stata solo la prima partita del secondo anno di Pioli.

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