Visto da me: Coppa Italia: Lazio - Genoa: 4-2

di Er matador
Fatto, misfatto e rifatto: esordire parafrasando un titolo di Paolo Liguori può apparire inconsueto se si parla di Lazio.
Ma fotografa l’andamento di una partita che i biancocelesti segmentano di propria iniziativa in tre mezz’ore sconnesse fra di loro, al limite della schizofrenia.

Nella prima il mini-turnover ragionato di Inzaghi vince su tutta la linea con una squadra padrona del campo, forte di una manovra vivace e concreta.
La “catena” Patric-Lombardi – due che strameriterebbero un posto da titolare – trova un’intesa naturale sulla destra, col terzino che non sbaglia una mossa sul piano tecnico e il ragazzo della Primavera su quello tattico: l’azione del penalty, con discesa e triangolazione stretta, è da rivedere per chi ama il gioco sulle fasce.
A centrocampo si tiene agevolmente il pallino, ma la vera scommessa vinta dal tecnico è incredibilmente Đorđević titolare al centro dell’attacco: l’elemento impresentabile per antonomasia tira fuori dal cilindro un gol e un rigore procurato.
Stranamente non esulta, come non esulterà nessuno se questo estemporaneo revival dovesse valergli la riconferma.
Il problema è che i destini tecnici dei romani passano non solo per i piedi, ma purtroppo anche per la testa, di Felipe Anderson.
Trequartista decentrato sulla sinistra, passa senza soluzione di continuità da un ruolo di ispiratissimo assist-man a uno straccio bagnato dagli undici metri.
Lamanna evita momentaneamente il raddoppio e lì la partita gira: quella del brasiliano finisce nella solita, indisponente abulia; quella dei suoi si complica maledettamente, e la bella rasoiata di Hoedt diventa il canto del cigno della prima mezz’ora.

Il Genoa identifica in Lukaku l’anello debole dello schieramento avversario e concentra sulla sua fascia iniziative neppure arrembanti: tanto basta, unito a marcature allegre nei sedici metri, per consentire a Pinilla e Pandev – il gol dell’ex, particolarmente sgradevole – di chiudere la prima frazione su un inimmaginabile 2-2.
Comincia la ripresa e la musica non cambia: ancora il cileno scatta in fuorigioco all’apparenza evidente, ed è bravo Hoedt a controllarne le movenze senza cadere nella trappola dell’eccessiva irruenza.
Poi la coppia centrale si apre come il Mar Rosso, soprattutto per demerito dello svagato Wallace, e Ocampos – già in gol dalla distanza nella gara di campionato, ma qualcuno non ha preso appunti – centra il palo a Strakosha battuto.

Fine della seconda mezz’ora, e qui il merito è di Inzaghi che centra il momento in cui far lievitare l’incisività offensiva calando gli assi Milinković-Savić e Immobile.
Il serbo si ritaglia una posizione molto vicina ai sedici metri, e gli basta poco per lasciare il segno: torre che non giunge a destinazione, un goffo intervento di Orbán chiude involontariamente il triangolo e gli offre l’alzo per un destro al volo che non ammette repliche.
Sull’unica giocata offensiva di rilievo, Lukaku prepara poi lo shoot dal limite che consente a Immobile di chiudere il discorso: o quasi, perché Wallace tenta di ripetere la prodezza del derby, ma il tackle di Hoedt lascia l’insidiosissimo 4-3 negli annali di Messico ‘70.

Annotazioni tattiche sui due marcatori nella ripresa: SMS deve giocare il più possibile a ridosso dell’area.
Perché è lì che fa davvero male agli avversari, ed è lì che fatica ad arrivare partendo da troppo lontano con le sue lunghe leve.
Dopo aver sfasciato un paio di moduli per snaturarlo in trequartista con compiti di copertura ed equilibrio tattico (nel 4-2-3-1) o mezzala (nel 4-3-3), si spera di aver finalmente capito dove schierarlo per accendere le polveri di un potenziale offensivo sulla carta devastante.
Immobile, già dispersivo di suo, sta degenerando in un insulso corridore a tutto campo: si limiti ai sedici metri, dove è l’unico con reali doti di finalizzatore, alla quantità penseranno altri.

Cosa rimane di una serata un po’ spensierata per le difese, ma ricca di indicazioni? Notazioni positive e qualche perplessità.
Il doppio cambio all’ora di gioco, ad esempio, convince fino in fondo per la tempistica, meno per la scelta degli elementi da giubilare.
Nulla da dire su Đorđević, che aveva chiaramente dato; ma per il secondo nome era in corso un ballottaggio fra il colabrodo Lukaku, con Lulić dirottato sulla sua fascia, e l’irritante Felipe Anderson.
Esce Lombardi, forse il migliore nel difficile inizio di ripresa: a dispetto di una testa da veterano e di un contributo sempre nel segno della concretezza, il ragazzo non sembra convincere fino in fondo il tecnico che l’ha allenato anche nella Primavera.
Decisamente agrodolce, poi, il retrogusto lasciato dal primo tempo: una Lazio che riversa energie a profusione, un avversario che giochicchia lo stretto necessario dopo aver lasciato sfogare i biancocelesti e si chiude sul 2-2.
Come se si stesse giocando al topo col gatto, e non è una sensazione piacevole: ancor più se dall’altra parte, con tutto il rispetto, non c’è una grande squadra inarrivabile per qualità ed esperienza.
Le fasi di riflusso atletico e territoriale sono quanto di più ovvio per un gruppo che fonda gran parte della propria incisività su un ritmo tambureggiante, impossibile da reggere tutti i novanta minuti.
Ma a maggior ragione urge un piano B per gestire quei segmenti di partita, che oggi si risolvono in un ripiegamento da resa incondizionata grazie al quale l’avversario guadagna l’area di rigore e l’immediata pericolosità in maniera quasi inerziale: insieme ai limiti nel finalizzare, il modo più rapido per dilapidare i meriti acquisiti nel corso del match.
Nelle fasi di sofferenza difensiva mancano, poi, regolarmente gli interventi dalla panchina.
Sottoforma non di cambi, ma di semplici aggiustamenti di posizione fra difesa e centrocampo: giusto per rigirare il coltello nella piaga, quelli con cui Spalletti pose fine alla sterile supremazia avversaria nel derby e, con essa, alla partita.
Sotto questo profilo, la gestione Inzaghi deve ancora cominciare.

P.S. La serata di ieri coincideva coi quarant’anni dalla morte di Re Cecconi.
Sarebbe stato bello giocare col lutto al braccio, regolamento permettendo, come per un lutto recente: a sottolineare che, nonostante il tempo trascorso, quella tragedia brucia ancora sulla pelle come se fosse appena capitata.
Invece, a parte una notazione distratta in telecronaca, allo spettatore non è giunto granché: altra occasione persa?

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