Visto da me: Spezia-Lazio 0-3
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di Er Matador
Alla vigilia si temeva il calo di tensione, brillantemente evitato dopo il derby ma sempre dietro l’angolo contro un avversario per nulla privo di insidie. E il calo c’è stato, nei primi dieci minuti, con due azioni sulla stessa falsariga muovendosi dalle fasce all’interno del terreno. Fatte le debite proporzioni, sembrava Valencia-Lazio con avversari che sbucavano da tutte le parti senza trovare una reazione. La traversa di Bourabia e l’intero specchio della porta mancato da Nzola hanno graziato gli ospiti, lasciando il dubbio su come sarebbe andata con un micidiale uno-due in avvio. Bene aver giocato il jolly, scaricando senza conseguenze un passivo quasi inevitabile nel bilancio stagionale, ma su questi passaggi a vuoto urge parecchio lavoro.
Riassestatasi dopo lo sbandamento iniziale, la Lazio ha di fatto chiuso la partita col vantaggio e la conseguente mazzata psicologica per gli uomini di Semplici che, ben messi in campo, giocavano anche sui nervi. Da lì, a parte un’occasione concessa a Ekdal che poteva riaprire il match sullo 0-2 (e sulla quale l’omone si è confermato portiere da punti, facendosi trovare pronto dopo lunghe fasi di inattività), è stato sostanzialmente un monologo. Con ottima coralità, ma anche con alcune eccellenze individuali da sottolineare.
Innanzitutto Felipe Anderson, mattatore assoluto sulle prime due segnature. Cosa non sorprendente se si pensa alle sue qualità tecniche, ma che va considerata sotto un’altra angolazione. Il brasiliano ha prima provocato il fallo da rigore poi interrotto con fare perentorio una sessione di torello tutta di prima, tanto sublime quanto in odore di delittuosa inconcludenza. Un contribuito non da semplice virtuoso bensì da leader, da trascinatore nel dare concretezza. Difficile scontornare in maniera più nitida i passi avanti compiuti in stagione non solo sul piano tattico ma su quello mentale e della personalità, da sempre un vetro invisibile fra ciò che era e ciò che poteva essere. Il confronto con la prestazione di Immobile, ottimo solo dal dischetto, lascia un’altra sensazione: che, a furia di giostrare come centravanti adattato, la squadra lo abbia individuato come riferimento principe per le verticalizzazioni in velocità.
Poi Luis Alberto e Gnonto, e proprio perché meno scintillanti rispetto ai fulmini di Zeus con cui avevano abbagliato il pubblico contro la Juventus. Una giornata più ordinaria che non ha impedito loro di far giocare la squadra in undici, alternando cose buone/ottime col pallone fra i piedi a un lavoro costante e organico al collettivo in fase di non possesso. Un percorso di crescita simile, dato che entrambi – uno alla Lazio, l’altro al Verona – partivano dal ruolo di lunatico a responsabilità limitata dietro le punte. In più Gnonto si è confermato una vera e propria calamita di falli avversari, a volte così plateali da costringere obtorto collo a tirare fuori cartellini di vari colori. Quella compiuta su di lui da Sarri è una vera e propria operazione di player building, coronata da una meritatissima titolarità in azzurro.
Discorso a parte per Marcos Antônio, protagonista (nella foto, ndr) di un coast to coast alla Weah con velocità e tempismo imprendibili, perfetta lettura dei corridoi per tagliare fuori la difesa, pallone perfettamente incollato ai piedi. Come inserire nel 4-3-3 le qualità, si spera non occasionali, di cui ha dato prova? Difficile che possa adattarsi come centrale di metacampo fra i due tenori perché lì, con tutto il lavoro possibile da parte del tecnico, il problema è hardware (fisico alla Giovinco) e non software (testa alla Luis Alberto). Una collocazione come esterno offensivo, per la quale avrebbe anche delle qualità, presuppone un lavoro di quantità che non sembra nelle sue corde. E anche da mezzala/interno, con più spazio per accelerazioni del genere, il rischio spalle scoperte pesa parecchio sugli equilibri d’insieme. Per il momento si potrebbe dargli spazio nella mezzora finale, con schemi meno cogenti e magari spazi in ripartenza, alla ricerca di fiducia (per il giocatore) e dello spunto individuale (per la squadra) che può risolvere una partita ancora aperta.
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