Visto da me: Lazio-AZ Alkmaar 1-2
|
di Er Matador
Quella di Napoli è stata una vittoria di prestigio utilissima per la corsa al quarto posto e una grande serata di sport, ma almeno in partenza una gara che si poteva perdere. Quella con l’AZ era una partita da dentro o fuori, nella quale non si poteva sbagliare. La distribuzione delle risorse fra i due incontri dice tante, troppe cose.
Condivido, poi, gli apprezzamenti per la forza e la ricchezza di spunti dell’analisi di Orazio Scala, anche se non mi trovo pienamente d’accordo con la parte centrale
Ma, se sono favolette anche le presunte "rigenerazioni" di calciatori su cui piace tessere ragionamenti (si fa per dire) a tanti, sono favolette anche le responsabilità motivazionali che si vorrebbero addossare agli allenatori: perché i mezzi calciatori sono mezzi calciatori e lo resteranno sempre, non c'è allenatore che tenga. Quando un mastino come Capello si trovò di fronte una testa di cazzo come Lassissi, tanto per fare un esempio, semplicemente non lo fece giocare più: avendo ben chiaro che è inutile cercare di trasformare un cojone in un calciatore vero.
Se consideriamo rigenerazioni e componenti motivazionali al di là della figura dell’allenatore, arrivando alla gestione disciplinare del giocatore nel suo insieme, tale componente ha sovente influito sul rendimento del singolo.
Cito i soli Davids e Vidal: due che, in un’ipotetica finale olimpica di “decathlon del coglione”, lotterebbero per i primissimi posti; due che, fatti di campo alla mano, figurano tra i migliori centrocampisti del mondo negli ultimi decenni. Perché alla Juventus hanno fornito un rendimento pazzesco, sia pure coadiuvati dall’immunità arbitrale, mentre altrove si sono fatti conoscere soprattutto per i difetti caratteriali?
Chi fa qualcosa ha sempre un gemello, incarnato da chi gliela lascia fare. A Torino i succitati hanno incontrato una disciplina ferrea, e forse – in particolare l'olandese ai tempi della Triade – qualche ulteriore pressione di altra natura. A Formello Luis Alberto ha trovato chi gli permette di monopolizzare le soluzioni da fermo pur sbagliandole quasi tutte, Acerbi chi gli ha consentito di imporre uno sterile record personale di presenze consecutive, Immobile chi non ha acquistato un’alternativa per non fargli ombra. Ragionamenti degni di un’insegnante di sostegno, portati avanti a detrimento della squadra e della deontologia professionale. E che spiegano almeno in parte la pochezza, la fragilità, il troppo facile appagamento mentale di tanti elementi in rosa.
Certo, le due posizioni diventerebbero conciliabili introducendo un’ulteriore distinzione: si può imporre la disciplina, non le motivazioni. O, detta in altro modo, si possono contenere, gestire, canalizzare le energie preesistenti; non inculcarle in chi ne è sprovvisto in partenza. Anche se, in tal caso, rimarrebbe da capire chi, come e perché ha costruito un organico così affollato di mezzi giocatori: e, quel che è peggio, di mezzi uomini.
Su Milinković-Savić: una serata deleteria e del tutto inaccettabile, proprio quando indossava la fascia da Capitano. Una coincidenza? O l’emblema del suo profilo psicologico? Dello stesso giocatore che alla prima mezza responsabilità, ad esempio con la Nazionale, ha prodotto unicamente il rumore di un palloncino quando si sgonfia?
|
Votazione: Questo articolo non è stato ancora votato.
|
|
|