La finta favola del Carpi e del calcio dei moralisti

di Arianna Michettoni
Può un’intercettazione, sulla cui moralità e legalità è bene non addentrarsi, riscrivere una fiaba? O può l’esordio in massima serie di Carpi e Frosinone, realtà provinciali per la prima volta tra le grandi, creare una nuova storia e sovvertire un ordine gerarchico che pare immutabile?

Possono belle speranze e grandi aspettative risollevare le sorti di un campionato che pare aver perso mordente, livellandosi verso il basso?
“Perché io quando vado a vendere i diritti televisivi - fra tre anni se c’abbiamo Latina, Frosinone, chi li compra i diritti? Non sanno manco che esiste, il Frosinone. Il Carpi... E questi non se lo pongono il problema!” Che non è come dire “con Carpi e Frosinone la serie A perde blasone!”, per usare uno schema metrico tanto caro al presidente Lotito.Il problema non è da porsi, ma è appurare oggettivamente che queste due squadre, prive di ogni velleità agonistica, imposteranno la propria stagione verso il raggiungimento di una difficile salvezza.

Niente bel calcio, ma moduli concreti e strenua difesa del pareggio. Supportate da una struttura in tubi innocenti – lo stadio “Matusa” del Frosinone – in grado di ospitare 10000 spettatori, mentre il Carpi ha dovuto spostarsi al “Braglia” di Modena – con sommo disappunto dei suoi ultras, i “ragazzi della curvetta” dello stadio Sandro Cabassi (4164 posti). Ciò non può che ledere alla spettacolarità di questo gioco, che nei diritti TV ha una delle maggiori fonti di guadagno, e che, se incapace di offrire partite entusiasmanti e coinvolgenti, mai scontate, rischia di perdere fascino e potere nei confronti degli altri campionati.

Il clamore giornalistico, tanto assordante nella difesa dei meriti sportivi e nell’elogiare la vittoria sul campo quanto silenzioso nell’annotare l’irregolarità degli impianti e la pochezza della campagna abbonamenti (il Carpi ha fatto registrare la sottoscrizione di sole 3400 tessere), è però di breve durata. Fuggevole come il quarto d’ora di notorietà a cui Andy Warhol ci ha condannati: al quindicesimo minuto di Sampdoria Carpi un rigore di Eder porta in svantaggio gli emiliani. Passano 37 minuti ed il Carpi è già sotto di cinque gol – l’obiettivo della neopromossa pare, quindi, non la salvezza, ma l’appropriarsi di un record che appartiene già alla Roma nella massima competizione europea. Passano 37 minuti e Brkic è alla sua quinta serie di piegamenti, evidentemente non ancora soddisfatto della forma dei suoi addominali. Passano 37 minuti e i ricordi degli applausi all’impresa di undici ragazzi, capaci di ottenere quello che nessuno mai prima aveva conquistato, disegnano un sorriso amaro sul volto di chi, in cuor suo, ha sempre saputo: nessuno ha davvero tifato Carpi, nessuno si è davvero commosso per la storica promozione in serie A.

La squadra emiliana, il suo approdo in massima serie, è stato l’ennesimo veicolo di una campagna denigratoria, mirata unicamente e con ogni mezzo a screditare la figura di Claudio Lotito. Il motto “Je suis Carpi”, strumentalizzato dai mediaticamente potenti, non significò tanto vicinanza affettiva o partecipazione gioiosa alla futura presenza tra le grandi dei biancorossi, quanto forte presa di posizione contro il presidente biancoceleste. L’ennesima, nei confronti di una figura scomoda ed antipatica a chi, abituato ad una gestione, una dialettica ed una rappresentazione obsoleta ed oscura della massima serie, ha dovuto scontrarsi contro una persona volitiva e propositiva, vogliosa di sovvertire un sistema basato su interessi utilitaristici e macchinazioni torbide.

La favola del Carpi si interrompe ben prima della mezzanotte, la carrozza diventa zucca quando Cenerentola non è che a metà strada tra la sua umile soffitta e lo sfarzoso castello. La bacchetta della Fata Madrina è già rivolta altrove, le magiche luci della ribalta inquadrano altri obiettivi – l’Udinese riesce nell’impresa, il Sassuolo vince e convince. Il Carpi è solo, scansato persino da un’annoiata e distratta Sampdoria . Segna due gol, ma non c’è nessuna festa. Pure la Biancaneve Frosinone, dopo aver a lungo lottato contro la Strega Cattiva Torino, morde la mela avvelenata offertagli dal giovane Baselli – non la condanna al sonno eterno, ma a 0 punti in classifica ed un approccio alla massima serie da migliorare. Secondo la classica narrazione fiabesca, a frapporsi tra l’eroe e il suo agognato premio è un cattivo vecchio stile – non Lotito, ma i limiti tecnici e tattici da sempre presenti in una neopromossa, già evidenziati dai più eminenti tuttologi calcistici ormai immemori della favola. E tuttavia consci che nel finale, nonostante i risultati, il ruolo di principessa al ballo, di più bella del reame, continuerà ad appartenere alle gesta di Napoli, Juventus, Milan e Roma. Ma questa è un’altra storia.


Arianna Michettoni

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